Vaccinazioni contro l’influenza in calo nell’ultimo quinquennio: è importante vaccinarsi

 Vaccinazioni contro l’influenza in calo nell’ultimo quinquennio: è importante vaccinarsi

L’influenza è ancora al di sotto della soglia epidemica e solo pochi virus sono stati sinora isolati, per lo più in pazienti provenienti dall’estero. La stagione influenzale vera e propria, quindi, non è ancora iniziata. Come avviene ogni anno, ci aspettiamo che la curva inizi a salire nelle prossime settimane, per raggiungere un picco fra gennaio e febbraio. Perciò è questo il momento per proteggersi vaccinandosi.
La vaccinazione antinfluenzale, però, ha subito un trend decisamente negativo negli ultimi cinque anni, con un decremento di sei punti percentuali nella popolazione generale. Nella stagione 2009/2010 si attestava infatti al 19,6% contro il 13,6% del 2014/2015. Due punti percentuali netti sono stati persi lo scorso anno. La copertura nel 2013/2014 si attestava, infatti, al 15,6%.  Lo scarto maggiore nel quinquennio si registra tra la stagione 2009/2010 (19,6%) e la stagione 2011/2012 (17,8%). Siamo quindi tornati ai livelli di inizio anni 2000, quando le coperture vaccinali erano decisamente basse.
Le coperture relative alla popolazione anziana (età superiore ai 65 anni, a maggiore rischio) hanno seguito lo stesso trend, ovviamente su percentuali maggiori. La copertura vaccinale negli anziani, che era al di sotto del 50% prima del 2000, era cresciuta, fino a toccare una punta massima del 68,3%, nel 2005/2006, per poi scendere a partire dalla stagione successiva a quella dell’anno pandemico (il 2009), ma  restando al di sopra del 60% fino al 2011/2012, per poi crollare dal 55,4% del 2013/2014 al 48,6% del 2014/2015.
“La causa del trend negativo è dovuto in parte a falsi allarmi legati a presunti danni da vaccino o impurità presenti in alcuni lotti – afferma Walter Ricciardi, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità -. In nessun caso, questi allarmi sono stati confermati. Anzi, ci sono diversi studi che mostrano un effetto protettivo del vaccino, sia fra i bambini di età compresa fra i 6 mesi e i 2 anni (per i quali comunque la vaccinazione non viene raccomandata in Italia) che nelle persone a rischio di complicanze. In particolare, oltre a ridurre il rischio diretto di gravi complicanze, talvolta letali, insorgenti nel corso di un attacco influenzale, il vaccino è in grado di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari, come mostrato da studi sperimentali ed osservazionali condotti in diversi gruppi di popolazione”.
Quindi, nella letteratura scientifica le evidenze a favore della vaccinazione anti-influenzale sono molte e più che convincenti (vedi scheda allegata). Secondo i dati oggi disponibili, relativamente al vaccino si evince che:
non esiste alcun motivo per non supportare le campagne di vaccinazione anti-influenzale, soprattutto negli anziani e nelle persone a rischio di complicanze;
è bene raggiungere coperture vaccinali elevate per ottenere un ‘effetto di gregge’ tale da ostacolare la circolazione del virus nella comunità;
il vaccino in alcuni casi è un vero e proprio salvavita ed è uno strumento attraverso il quale si ottiene un risparmio, sia in termini di giorni di malattia evitati, che di riduzione di ospedalizzazioni e trattamenti antibiotici.

La copertura della vaccinazione influenzale nella stagione 2014/2015 è stata del 13,6% della popolazione generale, di due punti percentuali inferiore rispetto alla stagione influenzale precedente, allorché era stata del 15,6%.
Ancora maggiore risulta essere lo scarto rispetto al 17,8% segnato nella stagione 2011/2012 o al 19,6% del 2009/2010.
Siamo quindi tornati ai livelli di inizio anni 2000, quando le coperture vaccinali erano decisamente basse.
Stesso discorso per le coperture relative alla popolazione anziana (età superiore ai 65 anni).
La copertura vaccinale, al di sotto del 50% prima del 2000, era cresciuta, fino a toccare una punta massima del 68,3%, nel 2005/2006, per poi scendere a partire dalla stagione successiva a quella dell’anno pandemico (il 2009), ma restando al di sopra del 60% fino al 2011/2012, per poi crollare dal 55,4% del 2013/2014 al 48,6% del 2014/2015.
Poco male, sembrano dire gli autori di una meta-analisi di 90 studi che suggerisce che occorre vaccinare 40 persone per prevenire un caso di ILI e 71 per prevenire un caso di influenza.
Quindi, secondo gli autori, l’effetto del vaccino sarebbe molto modesto sia nel prevenire i sintomi dell’influenza che nel risparmiare i giorni di lavoro persi. (Demicheli V et al. Vaccines to prevent influenza in healthy adults. Cochrane Database Syst Rev 2014).
Un’altra meta-analisi di 75 studi su bambini sani eseguita dagli stessi autori suggerisce invece che i vaccini anti-influenzali sono efficaci nel prevenire l’influenza nei bambini di almeno 2 anni d’età, mentre non ci sarebbe evidenza di efficacia fra i 6 mesi e i 2 anni, essendo disponibile un solo studio su questa fascia d’età (Jefferson et al. Vaccines for preventing influenza in healthy children. CochraneDatabase Syst Rev 2012).
Dal momento che la vaccinazione appare efficace nei bambini in età scolare, che sono quelli che sostengono la circolazione virale, questi potrebbero quindi rappresentare un ottimo target per strategie vaccinali tese a contenere il carico di infezione a livello di tutta la comunità, come accade ad esempio negli Stati Uniti.
E’ da notare, purtroppo, che le grandi meta-analisi non hanno considerato persone comprese nelle fasce d’età alle quali viene raccomandata la vaccinazione in Italia o alcune categorie a rischio.
In parte, ciò è dovuto al limitato numero di studi randomizzati controllati sinora effettuati su questi gruppi di popolazione; infatti, non è etico somministrare un placebo invece del vaccino a persone a rischio di gravi complicanze, come appunto gli anziani o le donne al secondo o terzo trimestre di gravidanza.
A questo proposito, la Circolare del Ministero della Salute raccomanda la vaccinazione anti-influenzale alle persone a rischio perché affette da malattie croniche o perché di età superiore ai 65 anni (molte delle quali rientrano appunto nelle categorie a rischio di complicanze), nonché alle donne in gravidanza a partire dal secondo trimestre. Infatti, nelle persone a rischio l’influenza non è assolutamente da sottovalutare, e occorre considerare che, oltre ai casi (relativamente pochi) in cui l’influenza rappresenta una causa diretta di mortalità (es., decesso di paziente febbrile risultato positivo in PCR), è soprattutto la mortalità indiretta (es., eccesso di mortalità per cause cardiorespiratorie durante la stagione influenzale) a giocare un ruolo importante.
Gli effetti positivi della vaccinazione nelle persone a rischio è ben documentato. In una meta-analisi di 8 trial condotti su persone con o senza malattie cardiovascolari, il vaccino anti-influenzale è risultato ridurre la mortalità cardiovascolare in maniera significativa (Clar C et al. Influenza vaccines for preventing cardiovascular disease. Cochrane Database Syst Rev 2015). Ancora, in 6 studi su pazienti a rischio cardiovascolare, è stato osservato un minor rischio di eventi cardiovascolari gravi nelle persone vaccinate rispetto ai non vaccinati (Udell JA et al. Association between influenza vaccination and cardiovascular outcomes in high-risk patients: a meta-analysis. JAMA 2013). Infine, in una meta-analisi condotta su individui anziani (>60 anni), il vaccino ha mostrato un’efficacia di circa l’80% nel ridurre ospedalizzazioni, polmoniti, e mortalità da tutte le cause (Darvishian M et al. After adjusting for bias in meta-analysis seasonal influenza vaccine remains effective in community-dwelling elderly. J Clin Epidemiol 2014).
A questo proposito, rivisitazioni metodologiche di meta-analisi della Cochrane hanno evidenziato come l’effetto del vaccino negli anziani sia consistente, raccomandando cautela nei confronti dell’interpretazione dei dati di alcuni studi che non mostravano effetti convincenti (Beyer WEP et al. Cochrane re-arranged: support for policies to vaccinate elderly people against influenza. Vaccine 2013).
Risultati incoraggianti derivano inoltre dall’analisi di 4 studi condotti su adulti immunosoppressi con cancro, che ha prodotto un’evidenza, anche se debole, in favore della vaccinazione persino in persone che potrebbero rispondere poco al vaccino (Ellakim-Raz N. Influenza vaccines in immunosuppressed adults with cancer. Cochrane Database Syst Rev 2013).
Ciò si somma ai risultati degli studi di efficacia in pratica, condotti sia in Europa che negli Stati Uniti, che mostrano protezioni variabili di anno in anno, a seconda di quanto siano simili i ceppi vaccinali e quelli circolanti (può accadere purtroppo che talvolta le componenti vaccinali non siano le stesse rispetto a ceppi virali circolanti a causa di mutazioni recenti). Ad esempio, l’efficacia in pratica della vaccinazione risultava del 62% negli Stati Uniti nel 2013. E’ chiaro che, per una malattia tanto diffusa quanto l’influenza, un tale effetto protettivo a livello di popolazione è più che rilevante, essendo molti i casi che possono essere prevenuti (CDC. Early estimates of seasonal influenza vaccine effectiveness-United States, January 2013. MMWR 2013). A questo proposito l’analisi di 34 studi randomizzati controllati mostrava addirittura una cross-protezione anche contro ceppi virali mismatched (52% vs. 65% nei ceppi matched), ovvero quelli mutati rispetto ai componenti vaccinali nell’anno in corso (Tricco AC et al. Comparing influenza vaccine efficacy against mismatched and matched strains: a systematic review and meta-analysis. BMC Med 2013).
Da quanto esposto, le evidenze a favore della vaccinazione anti-influenzale sono molte e più che convincenti. La mancata consistenza dei risultati delle meta-analisi può talvolta dipendere dalle strategie di selezione degli studi e dalla loro interpretazione, nonché alla capacità di aggiornare il vaccino sulla base dei ceppi circolanti, cosa non facile se si pensa alla rapidità con cui il virus può mutare. Al meglio delle nostre evidenze non esiste alcun motivo per non supportare le campagne di vaccinazione anti-influenzale, soprattutto negli anziani e nelle persone a rischio di complicanze. Anzi, è bene raggiungere coperture vaccinali elevate per ottenere un ‘effetto di gregge’ tale da ostacolare la circolazione del virus nella comunità E ricordiamolo, il vaccino, che in alcuni casi è un vero e proprio salvavita, è anche uno strumento attraverso il quale si ottiene un risparmio, sia in termini di giorni di malattia evitati, che di riduzione di ospedalizzazioni e trattamenti antibiotici.

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