I Finanzieri del Comando Provinciale di Treviso – coordinati dalla Procura della Repubblica di Treviso – hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni per un valore di oltre 3 milioni di euro, nei confronti di due imprenditori, attualmente indagati per reati tributari. L’operazione di p.g., denominata “Titanium”, ha visto impegnati oltre 20 Finanzieri della Compagnia di Treviso in perquisizioni locali e domiciliari – nella provincia di Treviso e Padova – finalizzate ad individuare e sottoporre a vincolo cautelare beni mobili, immobili e somme di denaro nella disponibilità degli indagati. In particolare, sono state sottoposte a sequestro preventivo le supercar dell’amministratore de facto delle società e nello specifico, numerose Ferrari tra cui una Testarossa Spider, tre F40, una F50, una F430 GT2 Evo ed una Enzo, una Lamborghini Gallardo ed una Bugatti EB110 che garantiranno le disponibilità economica per il saldo del debito verso lo Stato. Dopo l’arresto dei due imprenditori, che non risultano intestatari di alcun bene, avvenuto all’inizio dello scorso mese di ottobre, tutte le autovetture – radiate per l’esportazione, ma di fatto mai trasferite all’estero – erano state fatte sparire e trasportate in tutta fretta in diverse località della provincia di Padova al solo fine di evitarne il sequestro. La serrata attività info-investigativa condotta dalle Fiamme Gialle della Marca ha evitato che i beni venissero dispersi o alienati, rendendo efficace la procedura coattiva di recupero dell’imposta evasa. Il meccanismo evasivo attuato attraverso un vorticoso giro di fatture false, accertato dalle Fiamme Gialle per oltre 30 milioni di euro, si perfezionava attraverso l’accredito del denaro all’amministratore de iure, una ultra ottuagenaria di Treviso, i cui conti venivano progressivamente svuotati mediante prelevamenti in contante, non giustificati da alcuna logica commerciale. Questo sistema, realizzato anche attraverso la costituzione ad hoc di una società “cartiera” all’estero, ha permesso ai responsabili di appropriarsi illecitamente di oltre 3 milioni di euro, denaro che, invece, sarebbe dovuto finire nelle casse dello Stato in ragione delle imposte dovute dalle imprese ad essi riconducibili.