Studio dell’Ingv: le coste del Mediterraneo cambiano forma
Variazioni del livello marino e delle linee di costa, sono solo alcune delle conseguenze dei lenti e costanti cambiamenti che interessano il Mar Mediterraneo. Le zone più a rischio in Italia: Campi Flegrei, l’alto Adriatico, le piane costiere del Tirreno, Sardegna, Calabria e isole Eolie. Meno esposte le coste pugliesi. A dirlo uno studio dell’Ingv pubblicato su Special Publication della Geological Society of London. I cambiamenti climatici e il conseguente scioglimento dei ghiacci polari, i movimenti delle placche tettoniche, i terremoti e l’attività vulcanica, sono da annoverare tra le maggiori cause della variazione delle coste del Mediterraneo. A fare un quadro delle zone maggiormente a rischio, lo studio Coastal structure, sea-level changes and vertical motion of the land in the Mediterranean realizzato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), pubblicato su Special Publication n.388 della Geological Society of London. La ricerca è stata finanziata dal Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (Miur), dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco), con l’egida dell’International Union for Quaternary Research (Inqua). “Si è trattato di un lavoro lungo e complesso, iniziato circa 10 anni fa”, afferma Marco Anzidei, primo ricercatore dell’Ingv e coordinatore dello studio, “grazie al quale è stato possibile fotografare la situazione attuale delle coste del Mediterraneo e di come queste siano soggette a deformazioni. L’obiettivo è individuare le zone costiere soggette a particolare subsidenza, dove l’aumento del livello marino è maggiore per il lento e progressivo abbassamento verticale del fondale. Fenomeno che produce, non solo un aumento locale del livello del mare, ma anche l’arretramento e l’erosione della linea di costa, con conseguente restringimento delle spiagge”. Per individuare i tassi di deformazione della fascia costiera sono stati utilizzati dati storici e strumentali di geologia, archeologia e geofisica, utilizzando in particolare 6000 terremoti di magnitudo superiore a 4.5 e dati geodetici di circa 850 stazioni GPS di alta precisione e di 57 stazioni mareografiche distribuite lungo le coste. “I dati”, prosegue il ricercatore, “mostrano una continua risalita del livello delle acque nel Mediterraneo di circa 1.8 mm all’anno (3.2 mm su scala globale), confermando le previsioni dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) sull’aumento del livello del mare di circa 1 metro entro la fine del secolo e di oltre 2 entro il 2200, con conseguente arretramento delle coste e danni alle strutture, in particolare nelle zone subsidenti”. Fenomeno che porterebbe tali aree a un maggiore e progressivo rischio di allagamento, con conseguente esposizione di valore economico, in particolare delle zone a elevato valore industriale, commerciale, turistico e culturale, come Venezia, soprattutto se in aggiunta a grandi mareggiate e tsunami. “Per quanto riguarda l’Italia, le zone più a rischio di ingressione marina sono le coste presso la foce del Volturno e del Po, la laguna veneta, alcune località del Tirreno, della Sardegna, della Calabria e le isole Eolie. Lo stesso per le coste della Turchia e della Grecia che non a caso sono anche quelle più sismiche del Mediterraneo. Meno esposte risultano invece le coste pugliesi, in Italia, parte dell’isola di Creta, la costa Israeliana e parte del Nord Africa”, conclude Anzidei.