Napolitano, processo stato-mafia: Riina e Bagarella chiedono di assistere

 Napolitano, processo stato-mafia: Riina e Bagarella chiedono di assistere

“E ci mancava anche questa”, avrà pensato Giorgio Napolitano nell’apprendere della richiesta di Totò Riina e Leoluca Bagarella di poter partecipare all’audizione del capo dello Stato al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. L’Avvocatura dello Stato si è opposta e si aspetta la decisione della Corte d’Assise di Palermo sulla possibilità della presenza dei due boss mafiosi alla deposizione del presidente della Repubblica, anche se in video-conferenza. Le esigenze di difesa lo prevedono, l’opportunità lo escluderebbe. Alla fine è probabile che si opti per l’escussione del teste a porte chiuse, con la presenza dei soli avvocati difensori dei noti capi mafia. Comunque, il chiacchiericcio mediatico continuerà penalizzando l’immagine di Napolitano, con tutto quello che questo comporta. Cosa sarebbe avvenuto se il problema si fosse verificato negli Stati Uniti d’America? Al di là degli ordinamenti diversi, con molta probabilità non ci sarebbe stato il braccio di ferro tra un tribunale e Obama.

C’è voluta una sentenza della Corte Costituzionale per far distruggere le conversazioni telefoniche tra l’ex vice presidente del CSM, ministro dell’Interno e presidente del Senato, Nicola Mancino, e Napolitano, dichiarate comunque dai giudici “irrilevanti” ai fini degli approfondimenti giudiziari sulla trattativa. Quelle intercettazioni non potevano essere fatte. La loro eliminazione si è trascinata dietro, in una fetta dell’opinione pubblica meno informata, un senso di sfiducia nelle istituzioni che, comunque, tutelano i potenti e puniscono al solito i cittadini comuni.

Il presidente della Repubblica deporrà il 28 di ottobre su fatti che già ha dichiarato di non conoscere quando ha risposto alla richiesta dei giudici di Palermo. Dovrà riferire sulla lettera inviatagli da Loris D’Ambrosio, deceduto nel luglio del 2012, in cui il consigliere giuridico del Quirinale riferiva i timori sorti dopo le polemiche per le telefonate intercettate fra lui e Nicola Mancino. Napolitano non si è sottratto all’audizione. Se lo avesse fatto il polverone mediatico si sarebbe alzato sul Colle con un effetto altamente delegittimante. Resta il tema, quanto mai attuale, di come salvaguardare le alte cariche dello stato da provvedimenti che si possono trasformare in boomerang per la credibilità delle istituzioni, fermo rimanendo la necessità che tutti, ma proprio tutti, siano uguali davanti alla legge.

Sono tanti i magistrati che svolgono il proprio lavoro in silenzio, dedicando la propria esistenza al “Servizio” della giustizia, non ritenendosi assolutamente dei giustizieri. Altri, invece, non hanno minimi dubbi sull’opportunità e giustezza delle loro prese di posizioni. Sono talmente sicuri di essere nel giusto e di avere tutti contro che utilizzano in particolare i media per enfatizzare i loro convincimenti in modo che la “mediaticità” sia un antidoto alla voglia d’insabbiamento che, a loro avviso, i “potenti” hanno sempre e comunque intenzione di esercitare. E’ ovvio che anche la stampa ha le sue responsabilità quando – al di là dei tanti (troppi) codici deontologici – si presta ad operazioni di supporto interessato. “I giudici parlano solo attraverso le sentenze” va ripetendo la maggior parte dei magistrati avvicinati dai giornalisti. Il giudice non è un protagonista del processo, quando lo diventa c’è qualcosa che non funziona e con molta probabilità quello che dovrebbe essere “un giusto processo” diventa “ingiusto” perché il magistrato non è più terzo, ma protagonista di una tesi che nemmeno difronte a fatti incontrovertibili è disposto a cambiare. Il processo a Enzo Tortora è il caso emblematico di malagiustizia da tenere sempre a mente.

Il nuovissimo Consiglio superiore della magistratura ed il suo vice presidente, al di là dell’assoluta autonomia che i giudici devono avere, dovrà occuparsi con più efficacia propositiva e punitiva su protagonismi fuorvianti e delegittimanti per tutta la magistratura. Come norme restrittive vanno imposte ai magistrati che decidono di abbandonare la toga e scendere – o salire – in politica. Da un giorno all’altro non si può cambiare vestito.

A cura di Elia Fiorillo

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