Il C.S.M., la procura di Milano e la responsabilità civile dei giudici
L’ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde, Antonio Rognoni, non ha più nessuna intenzione di continuare a collaborare con la giustizia. Lo preoccupano le divergenze tra Bruti Liberati e Robledo.La classica ciliegina sulla torta, già acida in verità, è arrivata per opera e volontà di Antonio Rognoni, ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde. Non ha più nessuna intenzione di continuare a collaborare con la giustizia per svelare i segreti della brutta storia dell’Expo, come aveva fatto dal momento dell’arresto avvenuto il 20 marzo. Pare che il perché sia da ricercarsi nel conflitto ai vertici della Procura della Repubblica di Milano tra il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati e l’aggiunto Alfredo Robledo. Non certo per un gesto nobile di protesta per le “incomprensioni” (sic) tra i due finite sui tavoli del Consiglio superiore della magistratura, ma per meri interessi di bottega. Da quel conflitto lui ed i suoi avvocati non vedono niente di buono ai fini di un possibile sconto di pena per le informazioni fornite. Troppe divisioni nella gestione delle indagini e, anche, di conseguenza sui benefici da dare ad un “collaboratore”di giustizia. Meglio per il momento tacere, poi si vedrà.
Si riapre così – di fatto – la vicenda di cui si è occupato di recente il CSM e che ha visto anche l’intervento del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. E’, inoltre, da prevedere che continueranno le polemiche sulla responsabilità civile dei giudici e sulla loro indipendenza man mano che si avvicinerà la data del rinnovo del Consiglio prevista per il prossimo mese di luglio. Una cosa è certa: in un paese che vuol dirsi democratico la Magistratura è l’organo supremo di garanzia che non può minimamente apparire o essere di parte. La sua “indipendenza” dal potere politico è fondamentale. Guai però se nell’opinione pubblica l’organismo di garanzia supremo per il vivere civile e democratico è visto come un contro-potere interessato, una casta tutta centrata su se stessa e sui suoi interessi e privilegi.
Si possono comprendere le preoccupazioni del presidente Napolitano nella vicenda Bruti Liberati – Robledo che l’hanno spinto, certo non a cuor leggero, a scrivere al CSM affinché tenesse conto “delle responsabilità che la legge assegna al dirigente dell’ufficio di Procura” che, in base alla riforma del 2006, ha poteri gerarchici sui “sostituti”, proprio per evitare “personalismi” da parte di questi ultimi. Il problema di Napolitano non era quello, come pure qualche giornale ha scritto, di difendere Bruti-Liberati, ma di evitare che la Procura della Repubblica di Milano, in cui sono istruiti processi delicatissimi, potesse essere in qualche modo delegittimata difronte all’opinione pubblica. Resta il fatto che c’è la necessità di evitare che fatti del genere si ripetano e che si possa ritenere che con un verdetto pilatesco di archiviazione tutto si risolva, senza che nell’opinione pubblica non resti traccia di tanta superficialità.
L’altro tema che è tornato prepotentemente alla ribalta della cronaca è quello della responsabilità civile dei giudici. Un emendamento alla legge Europea del leghista Gianluca Pini, votato a maggioranza, ha riaperto il caso mai chiuso in verità. Una vecchia e delicata questione, molto sentita nell’opinione pubblica, che con un referendum del novembre del 1987 chiese che ai magistrati venisse applicata la responsabilità civile diretta per “colpa grave” sui loro atti. I votanti che si espressero a favore della responsabilità civile furono allora ben 20 milioni 770mila, oltre l’80% dei votanti. Non se ne fece niente. E’ lo Stato che paga quando c’è da risarcire, rifacendosi sui “rei”con misure disciplinari e decurtazione dello stipendio. Poca cosa per alcuni, che non punisce adeguatamente il magistrato in mala fede. Un’enormità, la responsabilità civile, per le organizzazioni di rappresentanza della magistratura che, a loro avviso, significherebbe mettere le manette ai polsi dei giudici, limitandone la propria attività. Dando, inoltre, la possibilità ai “potenti” di bloccare qualsiasi azione giudiziaria intrapresa contro di loro.
“Oneri ed onori” quando ricopri ruoli d’importanza vitale per un paese. Soprattutto, massima trasparenza specialmente se questa ti aiuta ad entrare in sintonia con la pubblica opinione. Se ti dà credibilità. E’ vero che il compito del magistrato è delicatissimo e proprio per questo ci sono tre gradi di giudizio per l’accertamento delle sue posizioni processuali. Ma è anche vero che la “mala fede”, l’”interesse privato” e via dicendo esulano dalle tutele doverose che lo Stato deve prevedere per lui. Ciò anche a difesa dei tanti magistrati che con scrupolo e altissima professionalità fanno il proprio mestiere. Forse è il caso di prendere ad esempio altre nazioni sotto questo aspetto. Lo scrive sul Corriere della Sera l’editorialista Pier Luigi Battista. “Una legge che permette allo Stato di rivalersi sui giudici c’è, con regole ben precise, in Spagna, in Germania (“dolo o colpa grave”), in Francia (“mancanza intenzionale particolarmente grave” o addirittura “diniego di giustizia”), in Belgio e in Portogallo (“frode” e “dolo grave”). Una cosa è assolutamente da evitare: che il cittadino faccia di “ogni erba un fascio”.
A cura di Elia Fiorillo