Aumento dello Spread: per il prof. Mele “non è motivo di preoccupazione”
Continuano da alcuni giorni notizie, riportate da taluni giornali, relative ad un nuovo supposto incubo spread, pronto a minare il governo in carica. Questo spread, ovvero il differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi, è spesso visto come un indicatore dello stato di salute dell’economia di un Paese. Un aumento dello spread può essere interpretato come un segnale di crescente sfiducia nei confronti della capacità di un Paese di rimborsare i propri debiti.
“Tuttavia, è possibile affermare che l’aumento dello spread italiano non è realmente un problema perché può avere diverse fondamenta”, afferma il Prof. Marco Mele, economista e manager italiano.
“Approfondire lo spread e il perché un aumento non necessariamente rappresenta un problema significa considerare diversi punti di vista e tenere conto della complessità del sistema economico globale.
In primis bisogna analizzare il rapporto tra spread e tasso effettivo di interesse: nonostante un aumento dello spread possa significare che l’Italia deve pagare di più per emettere nuovi titoli di stato, è importante ricordare che il tasso di interesse effettivo che il Paese paga sul suo debito pubblico è il risultato di tutte le emissioni di titoli di stato passate e presenti. Se il costo medio del debito pubblico rimane basso, un aumento temporaneo dello spread potrebbe non avere un impatto significativo sul bilancio pubblico a breve termine.
Secondo, la sostenibilità del debito: un aumento dello spread diventa un problema se porta in dubbio la sostenibilità del debito pubblico. Ma la sostenibilità del debito non dipende solo dal costo del debito (cioè il tasso d’interesse), ma anche da altri fattori come la crescita economica, il saldo primario (che è il bilancio pubblico al netto degli interessi sul debito) e il livello iniziale del debito. Se questi fattori sono positivi, l’aumento dello spread potrebbe non provocare una crisi del debito.
Infine l’Italia ha dimostrato nel passato di essere in grado di gestire livelli di spread, anche significativi. Ecco perché è fondamentale non percepire lo spread come un indicatore assoluto di rischio, ma piuttosto come uno strumento che può aiutare a capire le dinamiche dei mercati finanziari in relazione all’economia italiana”, continua Mele.
“Tutto questo trova risposta nella stessa teoria economica, molto spesso assente o ignara a coloro i quali inneggiano sull’allarme dello spread. In particolare è possibile richiamare la teoria dell’arbitraggio ma anche anche il cosiddetto effetto Fisher secondo cui, in maniera semplificata, se l’aumento dello spread è dovuto all’aumento dell’inflazione attesa, ciò non dovrebbe aumentare il costo reale del debito per l’Italia”.
“Questi teoremi, sebbene semplifichino la realtà, possono aiutare a dare prospettiva sulla questione tanto dibattuta dello spread e dimostrare che esistono numerose variabili da considerare quando si cerca di determinare l’effetto di un aumento dello spread sulla salute economica di un Paese”, conclude l’economista.