Alla Galleria Toledo “Un calcio in bocca fa miracoli” tratto da un romanzo Einaudi di Marco Presta
27 ottobre – 1 novembre 2015: Galleria Toledo incontra la radio… In effetti non è esattamente così. A voler essere più precisi e per amor di verità è la radio che incontra la letteratura, per far si che approdi sulle tavole dei palcoscenici sotto forma di adattamento teatrale. Con “Un calcio in bocca fa miracoli” ci ritroviamo immersi nel racconto umoristico di Vecchiaccio, pestifero pensionato dal carattere arcigno e un pò mariuolo, e dei suoi peculiari amici, piccoli eroi per piccole avventure, ai quali anima e tormenta la vita tra brontolii e stramberie geniali; assieme troviamo disseminati sapienti elementi narrativi, ingredienti di sana e arguta ironia che tanto ricordano il lieve stilismo di Calvino e Rodari, mescolati delicatamente alla satira sociale e alla migliore tradizione della commedia di costume. Meno noto al pubblico come scrittore – ma decisamente famoso, in coppia con Dose, come conduttore del programma radiofonico “Il ruggito del coniglio”, in onda su Radio2 da circa vent’anni – Marco Presta ha già pubblicato per Einaudi diversi libri, tra cui il romanzo satirico “Un calcio in bocca fa miracoli”, la cui stralunata cattiveria è messa ora in scena da Giancarlo Cosentino, per la regia e adattamento di Massimo Maraviglia e per il divertimento del pubblico dei teatri.
27 ottobre-1 novembre 2015
LaPrimAmericana
UN CALCIO IN BOCCA FA MIRACOLI
dall’omonimo romanzo di Marco Presta
con Giancarlo Cosentino, Federica Aiello, Mario Migliaccio
elementi di scena Armando Alovisi
musiche Canio Fidanza, Massimo Maraviglia
costumi Patrizia Visone
grafica Luca Serafino
direzione tecnica Antonio Minichini
aiuto regia Sabrina Bonomo
adattamento e regia Massimo Maraviglia
È la storia di un ex falegname, un “vecchiaccio” maniaco ladro di penne che, prima di chiudere bottega, decide di lasciare la sua arte e i suoi attrezzi a un giovane apprendista. Pur di imparare un mestiere, il ragazzo sopporta le piccole angherie di Vecchiaccio e soprattutto i suoi incresciosi soliloqui, che quasi sempre hanno come protagonista Armando il Pizzicagnolo, “l’oracolo dello stracchino”. Armando, “anziano pazzo e disadattato” (così lo definisce Vecchiaccio), è di fatto il suo alter-ego ed unico amico, e in quanto tale un po’ non lo regge e un po’ lo segue e lo asseconda nei suoi bislacchi piani, come quello di cercare due giovani a suo avviso tra loro compatibili e adatti a una storia d’amore quasi d’altri tempi. Così, nel racconto di Vecchiaccio, Armando girovaga per negozi, strade, bar, fino a intercettare i due soggetti adatti al piano: Giacomo e Chiara, due ragazzi come ce ne sono milioni al mondo: lei commessa di profumeria, lui giovane disoccupato. Come uno scaltro (e improbabile) agente segreto, Armando spende la gran parte del suo tempo e i risparmi di una vita a organizzare, concertare, controllare tutti i passi necessari a che i due giovani s’incontrino e proseguano insieme un cammino. Tutto questo nell’ombra, e con la complicità dello stesso Vecchiaccio recalcitrante. Al racconto concorrono altri due piani di narrazione, in qualche modo correlati tra loro: i tentativi (dai toni grotteschi e a un tempo poetici) di Vecchiaccio per conquistare la procace portinaia dello stabile in cui abita, e le pericolose incursioni salutiste della sua figlia Anna, spina nel fianco, “grillo”, forse suo unico grande amore. Come in ogni storia che si rispetti, ciò che accade diviene il pretesto per raccontare d’altro. Vecchiaccio parla di una vecchiaia che non rinsecchisce a dispetto di malanni, desideri delusi, matrimoni falliti, amori negati, che a dispetto del fracasso insopportabile della vita stessa conserva e accarezza le cose importanti e con esse si accompagna, tra un rimbrotto, uno scherzo di cattivo gusto, un ricordo ridicolo, un gesto affettuoso, fino alle soglie del gran finale.
L’adattamento del materiale narrativo, e la regia sono stati aspetti simultanei di uno stesso processo, aperti alla valorizzazione della componente umana e relazionale dei personaggi, certo la parte più interessante di questo materiale narrativo; c’è stato un tentativo di valorizzare quel fondo di verità che non ha a che vedere né con realtà né con finzione. Pochi effetti speciali, pochi oggetti, misura ed equilibrio nella scansione quasi musicale dei momenti, dosaggio nell’alternanza dell’elemento comico con quello riflessivo. Regia invisibile, pienamente al servizio degli attori, della cura dei loro gesti e delle loro traiettorie, a disegnare un reticolo di affetti e di emozioni che si dipana tra gli interstizi delle parole, per una messa in scena che facesse del sorriso un’opportunità per pensare, e del pensiero un’opportunità per sorridere. (Massimo Maraviglia)