La cultura che “crolla”- FOTO
La storia che si sbriciola, preda dell’incuria dell’uomo, è il passato che non c’è più. Un disfacimento inarrestabile di un pezzo di storia-patria della città di Sant’Anastasia: il Palazzo Nicola Amore. Già Palazzo Marigliano di proprietà di questa nobilissima famiglia, il cui casato risulta estinto da tempo, la quale donò per servigi resi, all’illustre Avvocato-Sindaco Nicola Amore, amatissimo primo cittadino della città di Napoli, nonché senatore del regno d’Italia. Questo palazzo nobiliare fu un perfetto esempio di stile neoclassico, le cui origini risalgono al XVIII sec. Preso possesso di questa nobiliare dimora, l’Avvocato la trasformò in residenza estiva, la abbellì con la costruzione di due torri merlate, una cappella votiva in onore di San Gennaro e una serie di interventi di miglioramento interno. Il Palazzo fu sede di un vero e proprio cenacolo culturale, una fucina di programmi e di iniziative letterarie, anticipando quel fervore da “belle epoque”, che di lì a poco avrebbe investito il nuovo secolo in arrivo. All’interno del Palazzo confluirono i maggiori intellettuali dell’epoca e il mondo della politica, tutti in fila ad omaggiare l’illustre avvocato, paladino della giustizia sociale, nonché combattivo sostenitore di idee liberali. Nicola Amore ebbe un rapporto molto intenso con la città di Sant’Anastasia, apprezzandone la salubrità dell’aria, il suo fervore religioso, la semplicità della sua gente. A sua volta donò lo storico Palazzo al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli nel 1887, pochi anni prima della sua morte. Oggi la città assiste impotente al suo degrado strutturale, nulla può la politica locale senza appropriati e sostanziosi fondi, approntare misure di carattere straordinario, ma solo quelle di carattere ordinario, come la messa in sicurezza del suo perimetro. Le politiche di intervento dovrebbero arrivare dai ministeri di competenza, ma la situazione economica non lo consente, basta dare un’occhiata alla situazione degli scavi di Pompei per avere un quadro esatto della situazione. La nostra bella Italia rischia il “defàult” culturale, a meno che nuovi e continui “competitor” affrontino a proprie spese, costose operazioni di restauro, vedi il Colosseo romano, dove un grande imprenditore italiano solo per amore della cultura (?) si è impegnato ad elargire somme da capogiro per il suo restauro. Allora la politica nazionale affidi il suo patrimonio culturale ai privati, consapevole di aver smarrito ancora una volta, l’amore per il proprio passato.
A cura di Salvatore Cutolo