Economia italiana: le revisioni Istat alzano la dinamica del Pil del triennio 2020-2023

 Economia italiana: le revisioni Istat alzano la dinamica del Pil del triennio 2020-2023

La situazione potrebbe avere effetti gravi per le imprese del comparto delle costruzioni che, per il forte calo di domanda, saranno costrette a ridurre i prezzi e sacrificare margini e profitti, in un contesto di liquidità che risulta in progressivo ridimensionamento.

Consumi: si è passati da una fase in cui è stata sacrificata la qualità dei beni acquistati a una, quella attuale, in cui vi è una riduzione delle quantità. Aumentano le famiglie in gravi difficoltà economiche: necessario un intervento di ampio respiro a supporto del reddito di queste fasce della popolazione e di quelle che stanno scivolando in area di povertà.

 

“Il deterioramento del contesto economico italiano avviene all’interno di uno scenario che, anche a livello internazionale, mostra segnali di ulteriore rallentamento; ciò  accresce il deficit, rispetto a quanto previsto nel DEF, anche a causa di un PIL più basso di quello atteso; ma una piccola mano, sul fronte delle risorse destinate a coprire l’aumento del deficit, potrebbe arrivare dalle nuove revisioni che l’ISTAT ha annunciato per il triennio 2020-2022 e che verranno presentate venerdì 22 settembre.“

Lo dichiara il segretario generale di Competere.Eu (www.Competere.Eu) Roberto Race nel presentare l’analisi congiunturale del think tank sull’andamento dell’economia italiana.

“Per l’Italia- spiega Race- questa revisione cambierà la narrativa sull’uscita dal Covid: il recupero dei livelli pre-Covid sarebbe stato raggiunto, infatti, già nel 2021 e attualmente, secondo alcune nostre valutazioni preliminari, il livello di PIL potrebbe essere di oltre 4 punti più alto rispetto a quello di fine 2019, confermando il primato europeo dell’Italia nella velocità di recupero. 

Venerdì prossimo è stata convocata una conferenza stampa nel corso della quale verranno presentati gli aggiornamenti delle stime di crescita del PIL nominale (e in volume) dovuta al recepimento di nuove fonti statistiche strutturali e “in particolare del sistema informativo integrato per la stima delle variabili dei Conti economici delle imprese”. Queste revisioni saranno particolarmente rilevanti per il 2021, anno per il quale è stato già comunicato un incremento del PIL nominale “compreso tra 1,8% e 2,1% rispetto alle stime diffuse il 1° marzo 2023”. 

Non si hanno altri dettagli, ma di certo già questo contribuisce a ridurre la quota di debito e di deficit sul PIL, quantomeno nel 2021, consentendo probabilmente la costituzione di un “tesoretto” inatteso (difficile da quantificare oggi, prima di conoscere i dettagli da parte dell’ISTAT)  da potere portare nella prossima manovra finanziaria. Tesoretto che potrebbe andare a coprire parte delle richieste delle imprese  fatte da associazioni datoriali come Confindustria, Ance e Confcommercio.

Il caso italiano non è isolato, in quanto revisioni della crescita del PIL a ridosso della crisi Covid sono in atto anche in altri paesi, sebbene gli incrementi siano di intensità inferiore. In Spagna la revisione al rialzo per il 2021 è stata di nove decimi di punto e di tre decimi per il 2022. In UK il livello attuale di PIL, grazie alle revisioni comunicate la scorsa settimana, è più alto di circa 1,7 punti rispetto ai livelli stimati in precedenza”. 

 

 Il contesto economico

 

“Nell’ultimo mese, da quando – spiega Race- il 16 agosto abbiamo realizzato la precedente nota congiunturale, i dati qualitativi e quantitativi diffusi da diversi istituti hanno confermato il deterioramento del contesto economico italiano all’interno di uno scenario che, anche a livello internazionale, mostra segnali di ulteriore rallentamento. Anche i principali previsori come Confindustria, Banca d’Italia e il Governo stesso stanno prendendo atto del mutamento di contesto rivedendo al ribasso le proprie stime di crescita, ad oggi molto ottimistiche.

Sono diversi i fattori che incidono: si sono accentuati gli scricchiolii del dragone cinese a causa della crisi del settore immobiliare e delle tensioni geopolitiche che accentuano un rallentamento globale in corso anche per gli aumenti dei tassi (sia FED che BCE hanno alzato di un quarto di punto i tassi di riferimento) i cui effetti sulla domanda sono già evidenti, soprattutto in Europa. Inoltre, nel Vecchio Continente la Germania si sta rivelando il “malato d’Europa”, per effetto dei forti legami con la Cina, in particolare sul settore automotive che sta risentendo più di altri della svolta green. L’Italia non è esente da questo contagio poiché è il principale fornitore dell’economia tedesca per componenti di auto”. 

 

Produzione industriale

“La debolezza dell’economia tedesca- continua Race- ha effetti rilevanti sulla dinamica dell’industria italiana. Anche per questa ragione la produzione industriale italiana mostra, ormai da mesi, segnali di forte debolezza. In luglio è tornata a diminuire (-0,7%) dopo due mesi di recuperi; a livello settoriale ha dato un contributo positivo solo il comparto energetico, che ha prodotto più del solito per l’accresciuta domanda di energia dovuta alle temperature elevate registrate nel mese. Se si osserva la dinamica nel solo manifatturiero, la diminuzione è più marcata (-1,1% su giugno), con i settori alimentare e mezzi di trasporto che mostrano i cali di attività più forti. In luglio è venuto meno l’apporto di entrambe le componenti della domanda: quella estera è diminuita dell’1,8% mentre la caduta delle importazioni nello stesso mese (-4,7%), insieme alla diminuzione delle vendite al dettaglio (-0,2% in volume), è sintomo di una ulteriore perdita di slancio anche della domanda interna, già fortemente compromessa dal contestuale impatto di tassi elevati e inflazione in lento rallentamento, fattori che hanno ridotto il potere d’acquisto delle famiglie e limitato le prospettive di consumo.

Con i dati disponibili fino a luglio, la produzione industriale entra nel terzo trimestre con una dinamica quasi piatta che, se confermata, potrebbe interrompere nei mesi estivi il calo trimestrale che procede ininterrottamente da un anno. Gli indicatori qualitativi, però, non offrono informazioni favorevoli: la fiducia degli imprenditori manifatturieri è diminuita tra giugno e agosto e le scorte di prodotti finiti sono aumentate pur in presenza di attese di produzione in peggioramento, segno che la domanda sta diminuendo più di quanto atteso e l’accumulo nei magazzini rappresenta un deterrente alla produzione nei prossimi mesi”. 

Il settore delle costruzioni

“Anche il comparto edile, dopo i fasti degli ultimi due anni, sta -continua Race nella nota congiunturale di Competere.EU- mostrando segnali di significativo arretramento. Gli investimenti sono diminuiti nel secondo trimestre e le informazioni attuali non lasciano intravedere un’inversione di tendenza nel breve periodo, tenuto conto dell’incertezza legata al Superbonus che sta allontanando imprese e privati dal suo utilizzo. Inoltre, nonostante l’aumento del costo del denaro, che si è rafforzato in seguito al recente rialzo dei tassi BCE (la settimana scorsa portati al 4,5%), i prezzi delle case hanno continuato ad aumentare, risentendo dei rincari delle materie prime e del materiale da costruzione che si erano avuti nel corso del 2022. Gli ultimi dati ISTAT evidenziano infatti un aumento medio del prezzo delle abitazioni che, nel secondo trimestre, ha toccato il 2,0%, in accelerazione dal +1,0% nel primo. Crescita del costo di finanziamento (il costo medio di un mutuo a tasso fisso oggi è intorno al 5%) e aumento dei prezzi di vendita, in un contesto recessivo quale quello attuale e con attese di calo dei prezzi nel prossimo anno, portano le famiglie a rinviare le scelte di acquisto delle abitazioni (nel secondo trimestre    -16% le vendite di abitazioni in un anno). Questa situazione potrebbe avere effetti gravi per le imprese del comparto che, in assenza di domanda, saranno costrette a ridurre i prezzi e sacrificare margini e profitti, in un contesto di liquidità che risulta in progressivo ridimensionamento”.

I consumi delle famiglie

“Dal punto di vista della domanda, poi, il vero problema all’orizzonte- scrive Race- sono i consumi. Nel secondo trimestre il dettaglio della spesa per consumi finali delle famiglie mostra una diminuzione degli acquisti di beni non durevoli e semidurevoli. Si tratta prevalentemente di beni alimentari, di medicine, di prodotti per la cura delle persone, di calzature. È un segnale molto negativo poiché il calo degli acquisti di questi beni primari riflette crescenti difficoltà per le famiglie meno benestanti, il cui potere d’acquisto è stato maggiormente impattato dalla dinamica dell’inflazione. 

Dopo una fase in cui le famiglie hanno cercato di mantenere gli standard di consumo precedenti al Covid, utilizzando l’extra risparmio che era stato forzatamente accumulato durante i lockdown e a causa delle limitazioni introdotte a causa del Covid, si è passati a una fase in cui è stata sacrificata la qualità dei beni acquistati e oggi vi è una riduzione delle quantità. Se questa interpretazione è corretta, allora ci troviamo in una situazione di aumento delle famiglie in gravi difficoltà economiche, cosa che richiede un intervento di ampio respiro a supporto del reddito di queste fasce della popolazione e di quelle che stanno scivolando in area di povertà. Tema molto caro al Presidente della Repubblica Mattarella”.

Inflazione e salari

“Ciò avviene anche a causa di una dinamica dell’inflazione -scrive Race nella nota di Competere.EU- che decelera in misura più graduale di quanto atteso nei mesi scorsi. In agosto l’inflazione in Italia ha toccato il 5,4% su base annua, un dato di oltre sei punti inferiore rispetto al picco di fine 2022. 

La discesa dei prezzi è stata frenata, nelle ultime settimane, dai rincari del petrolio e del gas, i primi prevalentemente a causa del blocco della produzione decisa da Arabia e Russia e i secondi soprattutto a causa degli scioperi nel settore del GNL in Australia e per lavori di manutenzione del gasdotto in Norvegia. In tale contesto, dinamiche salariali che procedono a un ritmo più lento di quello dell’inflazione stanno generando impatti significativi sui bilanci delle famiglie. Una gran parte dei CCNL (circa il 50%) deve essere ancora rinnovato per cui, sotto questo punto di vista, se oggi gli effetti sono negativi, nel 2024 si può attendere un miglioramento delle condizioni: a fronte di una decelerazione ulteriore della dinamica dei prezzi che, secondo molti previsori, dovrebbe scendere sotto il 3% nella media dell’anno prossimo (quasi dimezzandosi rispetto al 2023) si avranno incrementi significativi delle retribuzioni (i cui contratti verranno rinnovati a tassi superiori) e ciò aumenterà il potere d’acquisto delle famiglie, liberando risorse per i consumi”. 

Dinamica del PIL

“La combinazione di questi fattori -conclude Race-  rappresenta un pesante fardello sull’andamento del PIL quest’anno e il prossimo. Il Governo non può non tenerne conto nella prossima manovra finanziaria, la quale dovrà inoltre considerare anche i circa 30 miliardi di Superbonus che andranno a incrementare di circa 1,5 punti la dinamica del deficit, portandola al 6% (o sopra), rispetto a quanto considerato nel DEF in aprile (4,5%). Per il 2024 i dubbi sull’attribuzione delle risorse del Superbonus lasciano spazio a una grande incertezza. Nel DEF era previsto un deficit del 3,7% ma con una dinamica del PIL più robusta (+1,5% previsto) di quella che sarà: (potrebbe essere addirittura la metà di quella prevista ad aprile). I problemi, dunque, non mancano e una gran parte delle soluzioni si trova sui tavoli di lavoro organizzati a livello europeo, in particolare quelli che prevedono modifiche al Patto di Stabilità. Su questo fronte le ultime notizie non sono rassicuranti, a causa del riemergere di “falchi” che intendono limitare qualsiasi revisione rispetto alle regole già stabilite e fino al 31 dicembre sospese”.

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