L’Etna e i suoi “dicchi”: un nuovo approccio per predire lo sviluppo e la propagazione delle fessure eruttive
Valutare l’energia rilasciata dalla propagazione delle fessure eruttive per poi mettere in relazione, grazie a un ampio set di modelli eruttivi (nel caso dell’Etna a partire dall’eruzione 1981), questa energia con quella sismica rilasciata attraverso i numerosi eventi che hanno accompagnato le intrusioni di magma. Sono i risultati del lavoro condotto da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) della sede di Catania, in collaborazione con ilGeoForschungsZentrum (GFZ) di Potsdam, Germania e l’Earthquake Research Center dell’Università di Tokyo. Lo studio, dal titolo “Dike propagation energy balance from deformation and seisimic release” è stato recentemente pubblicato su Geophysical Research Letters dell’American Geophysical Union, ed è consultabile all’indirizzo http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/2017GL074008/epdf.
“Il magma”, spiega Alessandro Bonaccorso, dirigente di ricerca INGV, “viene trasportato nella crosta tramite intrusioni, anche note come dicchi, che nella loro risalita fendono le rocce incassanti sino a raggiungere la superficie terrestre, per dare vita alle eruzioni. La propagazione dei dicchi provoca non solo deformazioni, ma anche notevole rilascio sismico, entrambi misurabili attraverso le reti geofisiche di monitoraggio permanente”.
Nelle aree vulcaniche, i dicchi possono risalire dal profondo verso la superficie e. infine, muoversi attraverso propagazione laterale, in questo caso alimentando pericolose eruzioni sui fianchi del vulcano. In generale i rischi associati a un dicco eruttivo crescono all’aumentare della sua lunghezza laterale di propagazione. Più è lunga la sua propagazione, maggiore è il rischio in quanto l’intrusione può raggiungere punti di emissione lavica più prossimi ai centri abitati e alle infrastrutture umane.
“Come nel 1669, quando la città di Catania è stata parzialmente distrutta da una drammatica eruzione che ha visto l’intrusione eruttiva allungarsi radialmente sul fianco del vulcano per circa 16 km. Questa si è propagata partendo dall’area sommitale sino a circa quota 800 m s.l.m. in prossimità del paese di Nicolosi da cui è uscito il flusso lavico che, da questa bassa quota, ha in poco tempo distrutto numerosi villaggi periferici e poi raggiunto la città di Catania danneggiandola gravemente (vedi figura con la rappresentazione grafica storica)”, prosegue Bonaccorso.
In particolare per l’Etna, dove le intrusioni di numerose recenti eruzioni sono state modellate in modo robusto attraverso i dati di deformazioni del suolo raccolti dalle reti permanenti di monitoraggio dell’INGV, la relazione individuata è molto precisa. Questo in linea di principio permette di controllare durante un’intrusione come/se l’energia attesa si sta equilibrando con quella rilasciata dalla stessa intrusione, e quindi comprendere il suo stato di propagazione.
“L’indagine”, aggiunge il ricercatore dell’INGV, “prende in considerazione i precedenti risultati relativi alle diverse intrusioni che hanno alimentato eruzioni all’Etna (dal 1981), nei vulcani del Giappone e nel rift dell’Afar (Ethiopia)”.
Sebbene in passato siano stati condotti diversi studi sui meccanismi dei dicchi e sulla loro propagazione, il rapporto tra la deformazione provocata dall’intrusione magmatica e la sismicità rilasciata, fino a oggi è stato approfondito in modo parziale.
“La comprensione della meccanica dei dicchi è, invece, un argomento chiave per prevedere sia la propagazione sia il pericolo associato. Da qui la necessità di ottenere uno strumento di controllo sull’energia rilasciata dall’intrusione al fine di valutare il suo stato di propagazione. Questo”, conclude Bonaccorso, “consentirebbe di rispondere a una delle domande cruciali che si pone la comunità scientifica nelle prime fasi iniziali di un’eruzione: per quanta lunghezza si propagherà la fessura eruttiva?”.