“Il Bello delle Parole”: Curiosità Linguistiche Napoletane e Italiane
Intervista: All’autore del libro Alfredo Imperatore
Professore da dove nasce questo suo ultimo progetto editoriale è quale il tema che affronta?
Anche in questo mio quarto libro sull’etimologia di alcune parole ho seguito il metodo adoperato per i precedenti, e cioè di abbinare a ciascuna di esse le storielle, gli aneddoti e le curiosità connesse al loro cammino nel tempo, che però ho sempre attentamente documentato.
A tal proposito mi piace evidenziare che tutti i testi riportati nella “Bibliografia essenziale”, fanno parte della mia biblioteca che nel tempo, da quando ho scritto il mio primo saggio “Etimologia di alcune parole napoletane, italiane e non solo…”, si è vieppiù ampliata, per amore delle parole e per il tentativo di essere quanto più attento e documentato possibile; fermo restante quello che diceva Benedetto Croce che “l’etimologia è come la meteorologia”.
Ho anche rivisitato e aggiornato qualche scheda trattata nei miei precedenti lavori, per cui questo testo è risultato più lungo degli altri, e spero anche più piacevole e interessante.
Anche in questo libro, come negli altri, accanto alle parole napoletane che rappresentano la maggior parte, ho esaminato alcune parole italiane e qualche altra latina, francese, spagnola ecc.
Può portarci qualche esempio?
A volte, quando una parola napoletana è simile a quella di uno dei tanti popoli che nel corso dei secoli hanno soggiornato o dominato sul suolo dell’Italia meridionale, si attribuisce la sua origine a uno di loro.
Evidenzieremo, a proposito di buatta dal francese boîte, come tutta la fascia costiera della Campania, che fronteggia il centro del Mediterraneo, sia dotata di un clima temperato e di un suolo così fertile, tanto da essere denominata Campania felix.
Pertanto, sia con gli scambi commerciali, sia sotto le diverse dominazioni, nel nucleo originario idiomatico greco e latino, sono stati introdotti vocaboli di origine germanica, francese, spagnola, araba ecc.
Per molte parole, però, c’è da chiedersi se non possa essere accaduto l’inverso, cioè i vari popoli che in un modo o nell’altro hanno avuto a che fare con noi, si siano arricchiti essi stessi di parole del nostro variopinto eloquio, le quali sono ritornate di nuovo a noi col cosiddetto “cavallo di ritorno”, ma tanto storpiate nella dizione e nel significato, da essere praticamente irriconoscibili. Siamo noi e non loro i più diretti discendenti dei latini, cioè gli autentici neolatini!
In genere i dizionari riportano una data che rappresenta il primo riscontro scritto di una certa parola tuttora in uso. A volte indicano solamente il secolo nel quale si è constatato per la prima volta un vocabolo, allorché non si conosce con esattezza la sua prima attestazione.
Attualmente si è molto meno rigorosi che in passato con le parole nuove, e ogni paio d’anni escono vocabolari ampliati, solo per rilevare i tanti neologismi, che in gran parte sono forestierismi specialmente di origine anglosassone.
Voglio precisare che, con questo libro, così come per gli altri, non ho inteso esercitare funzioni didattiche (anche perché per gran parte della mia vita ho svolto una professione tutt’altro che accademica), ma solo di voler avvicinare tanti lettori, non solo napoletani, alle curiosità linguistiche della nostra bella parlata.
Può portarci qualche altro esempio di percorso etimologico di una parola napoletana?
Se una persona ci appare un po’ sciocca o fa qualcosa che riteniamo sbagliato, noi napoletani lo apostrofiamo con l’epiteto mamòzio. Perché mamòzio?
La statua di “Santo Mamòzio” si ergeva nell’antica Piazza della Malva di Pozzuoli e rappresentava il suo simbolo. Si trattava di una grossa scultura scoperta nel 1704 e datata dagli esperti al IV secolo d. C., raffigurante un console romano, certo Quinto Flavio Mavòrzio.
La statua fu recuperata senza testa, per cui si pensò bene di incaricare uno scultore del posto per scolpirne una nuova da applicare sull’acefalo busto. Ma l’ignoto quanto inesperto scultore, sbagliò le proporzioni, tanto che la novella testa risultò manifestamente più piccola rispetto al resto del corpo, per cui la statua nel complesso sembrava la raffigurazione di un deficiente.
Poi, la scultura così restaurata, fu sistemata di nuovo nell’antica Piazza di Pozzuoli.
Man mano il nome Mavòrzio si è sostantivato in mamòzio, onde indicare una persona con la testa piccola e poco intelligente, ma più che altro un semplice credulone.
Quest’esempio riportato su mamòzio, rappresenta un po’ il leitmotiv del libro, col quale ho trattato, come il solito, le varie parole, non solo dal punto di vista etimologico, ma anche aneddotico e, quando ho potuto, “storiografico”.
Se ci sono ancora riuscito sono contento, specialmente perché ho allietato alcune ore del mio Amico lettore.
La mail di Cuzzolin editore ove i lettori possono chiedere il libro.
cuzolineditore@cuzzolin.it